prova costumeEccoci arrivati al primo week end di luglio!

Siete pronti per la prova costume?

Questa è la domanda che, da maggio in poi, leggiamo un po’ ovunque: una frase come un’altra, che segna l’inizio di una stagione, come le foto degli abeti sui social, che dicono “è quasi Natale!”.

Ma è davvero una frase come un’altra?

 

No, non lo è! E’ l’espressione più evidente della diet culture, fenomeno che fa girare miliardi attorno al controllo del peso delle persone, che però

✓ sono perennemente a dieta, ma sempre più in sovrappeso (1/3 della popolazione adulta in Italia lo è)

✓ si rivolge prevalentemente alle donne, ma l’eccesso di peso è più diffuso tra gli uomini (sovrappeso: 44% vs 27,3%; obesità: 10,8% vs 9%, dati dell’Istituto Superiore di Sanità).

Questa frase dice che le donne DEVONO preparare il corpo, in breve tempo, per fare qualcosa per cui non occorrerebbe fare nulla: svestirsi per andare in spiaggia.

Sottintende che così come siamo non andiamo bene e che dobbiamo omologare il nostro corpo, renderlo conforme a misure standardizzate e uguali per tutte:

così saremo gradevoli agli occhi di chi ci guarderà!

 

Spesso l’intento meramente estetico viene nascosto dietro un falso ideale di salute

magro = sano/grasso = malato

Per la società il corpo femminile è un involucro, che deve essere piacevole per gli altri, valutato esclusivamente dal punto di vista estetico, ma mai rispetto al suo uso, alla sua efficienza e alla sua salute (vera).

VOLENTI O NOLENTI, LE IMMAGINI VEICOLATE DAI MEDIA CI INFLUENZANO

Questi costrutti culturali ci fanno sentire inadeguate, facendoci dichiarare guerra al nostro corpo, che non corrisponderà mai ai canoni imposti e di moda.

Questo può farci ammalare, nel corpo e nella mente: nel “migliore” dei casi siamo infelici e perennemente insoddisfatte (e a dieta), nel peggiore dei casi possono insorgere disturbi del comportamento alimentare e distorsione dell’immagine corporea.

A portare avanti questo fenomeno culturale, ci guadagna l’industria della dieta, ovvero tutti quei soggetti o prodotti, che ci promettono di diventare conformi e adatte a vestire il costume da bagno, in poco tempo e magari senza troppa fatica.

Il danno che ne deriva può riguardare anche la salute fisica (disregolazioni metaboliche o patologie) non solo quella mentale.

Questi messaggi ci fanno dimenticare che le misure e il peso forma sono differenti per ognuna (e ognuno) di noi.

La salute del nostro corpo è il risultato di un corretto stile di vita:

❀ alimentazione sana e più varia possibile

❀ adeguata quantità di moto, per regolare il tono dell’umore ed essere più sereni ed equilibrati

L’alimentazione per noi esseri umani ha un legame stretto con fattori psicologici ed emozionali, che non possono essere ignorati!

Per quest’anno lasciamo perdere la prova costume e proviamo a convivere serenamente con il nostro corpo, perché è l’unico che abbiamo, fa un sacco di cose belle e utili per noi e dobbiamo viverci per sempre.

E se qualcosa non dovesse piacerci, cambiamolo per stare meglio, diffidando delle diete restrittive e dei prodotti magici, preferendo rivolgerci a preparatə professionistə (dietologə, nutrizionistə e dietistə) e magari anche allə psicolə per aiutarci a consapevolizzare i legami emotivi, a sostenere la motivazione e a ristrutturare il nostro stile di vita, creando nuove e piacevoli abitudini.

Dopo oltre un anno, cominciamo a fare i conti anche in termini di salute mentale, con l’impatto che ha avuto la pandemia su di noi.

Per i bambini, vedremo tra qualche tempo, quali saranno le conseguenze a lungo termine di restrizioni, isolamento e DAD sulla loro crescita, ma sugli adolescenti sappiamo già oggi che sono aumentati gli atti di autolesionismo e i tentativi di suicidio (dati diffusi dal Garante dell’Infanzia e adolescenza Carla Garlatti e dati raccolti dall’Ospedale pediatrico Bambino Gesù):

durante questo periodo di stravolgimento mondiale, i giovani hanno sviluppato stanchezza cronica, demotivazione allo studio, tristezza, appiattimento dell’affettività o maggiore irritabilità e, nelle forme più importanti, depressione del tono dell’umore, ansia, attacchi di panico, irrequietezza, impulsività e, nei casi estremi, disturbi di tipo psicotico (per approfondire https://www.dors.it/page.php?idarticolo=3548).

Senza ombra di dubbio gli adolescenti sono la categoria più colpita dalla pandemia.

Purtroppo, ogni volta che si parla della situazione psicologica dei ragazzi, i commenti sono davvero deprecabili: è una gara a chi sta peggio, in cui i cosiddetti adulti, pretendono il primato dell’attenzione, minimizzando e svalorizzando l’esperienza dei nostri giovani.

Secondo l’opinione diffusa, se gli adolescenti ora stanno pagando il prezzo più alto in termini di salute mentale, è solo colpa loro, quindi, in seconda istanza, delle loro famiglie: chi soffre davvero, secondo il popolo dei social e dei bar, sono solo gli anziani o gli adulti “produttivi”.

La verità è che le cause di questo grave malessere, non sono da ricercare nelle carenze educative familiari, ma riguardano con le caratteristiche neurobiologiche del cervello umano, durante quello specifico momento del nostro sviluppo: l’adolescenza non è un passaggio tra la vita infantile e quella adulta solo in senso filosofico o figurato, ma è qualcosa di concretamente determinato.

Grazie agli studi di neurobiologia e neurofisiologia, sappiamo che un cervello tra la pre-adolescenza e fino ai venti-venticinque anni, subisce grandi trasformazioni strutturali, a causa dei fenomeni della “potatura sinaptica” e della “mielinizzazione”:

vengono concretamente eliminate il 50% delle connessioni sinaptiche, che si sono formate durante l’infanzia, selezionando quelle maggiormente utilizzate (più i circuiti vengono attivati/usati, più si rafforzano, meno sono utilizzati, più probabilmente vengono potati in adolescenza) e contemporaneamente la mielina quasi raddoppia, rendendo più rapida la propagazione dei messaggi nervosi. Aggiungiamo che, il cervello degli adolescenti è caratterizzato da una maggior attività nelle aree limbiche, e quindi le loro emozioni sono più intense, esplosive e altalenanti.

Questi cambiamenti cerebrali spingono gli adolescenti all’esplorazione creativa, al coinvolgimento sociale e alla ricerca di novità, attività cessate nel lockdown e che si sono ridotte al nulla, con la mancata riapertura di scuole e attività sportive e culturali.

 

Questa grande plasticità cerebrale, costituisce non solo un’opportunità, ma anche una grande fragilità e vulnerabilità: il cervello adolescente è particolarmente sensibile agli stress, di qualsiasi natura, fisici, tossici, psicologici e relazionali, che possono molto più facilmente produrre effetti negativi, rispetto ad un cervello adulto, più strutturalmente stabile.

Alla luce di queste informazioni scientifiche, è chiaro perché questa situazione ha rappresentato e sta rappresentando una prova drammatica per la crescita dei nostri ragazzi.

Proviamo a ricordarci davvero di come eravamo e proviamo a stare loro accanto, perché il nostro comportamento nei loro confronti può fare tanto, in termini di protezione e cura: non dimentichiamoci che anche noi siamo stati adolescenti e che loro sono il nostro futuro.

Non esitate a chiedere aiuto come genitori o a chiederlo per i vostri figli!

GIOCHI DA MASCHI E GIOCHI DA FEMMINE

In questi giorni il professor Morelli sta perdendo qualche venerdì, rilasciando inteviste su presunte radici della femminiltà, facendo affermazioni sessiste e prive di alcun fondamento scientifico.

A tal proposito è stato intervistato da Michela Murgia, telentuosa e brillante scrittrice e femminista. Durante l’intervista Morelli, incalzato dalle puntuali domande di Murgia, perde il controllo, dando un “bell’esempio” della radice patriarcale maschilista della nostra società, che vuole la donna zitta se contraddice l’uomo: si passa dal lei al tu, si aggredisce e poco importa se il maschio sta dicendo assurdità prive di fondamento, non è tollerato. Morelli arriva addirittura a dire che le donne DEVONO essere oggetto del desiderio degli uomini, se no sono mentalmente malate e che è naturale che maschi e femmine giochino con giocattoli differenti e “peculiari”, affermando che è scientificamente provato.

https://www.instagram.com/p/CB3OYNaFdXf/

Ma esistono giochi da maschio e giochi da femmina?

Guardando i cataloghi e gli scaffali dei negozi, si direbbe proprio di si!

Facciamo, però, un passo indietro: perché i bambini giocano?

Il gioco è un’attività complessa, così complessa da non aver trovato una definizione univoca, ma che, sicuramente, rappresenta per l’essere umano e per moltissimi animali, non solo un’attività per passare il tempo in modo piacevole, ma anche un modo per imparare, una vera e propria palestra per il cervello. Il gioco svolge, infatti, un ruolo chiave nello sviluppo del bambino dal punto di vista cognitivo, affettivo e sociale ed ha caratteristiche differenti nelle diverse fasi di sviluppo.A partire dai due anni i bambini sono in grado di rappresentarsi mentalmente cose, oggetti, situazioni e persone, indipendentemente dalla loro presenza: grazie a questa nuova competenza cominciano a dedicarsi al gioco simbolico, ovvero al “facciamo finta che”, attività in cui imitano gli adulti,  gli altri bimbi e ciò che accade nella realtà. Il gioco simbolico è la prima forma di gioco strutturato e nasce spontaneamente: i bimbi aggiustano, cucinano, nutrono bambolotti, spostano oggetti con le ruote, senza distinzioni di genere, riproducendo ciò che vedono intorno a loro.

Il gioco è, però, fortemente influenzato dagli adulti, che  incentivano o disincentivano oggetti, luoghi e modi di giocare e che, addirittura, consentono di giocare oppure no;  il gioco sarebbe, dunque, un’attività spontanea, ma viene fortemente influenzata dalla cultura e dalla società di appartenenza.

Sicuramente ad un certo punto, la maggior parte dei bambini inizia ad identificarsi come appartenente ad un genere piuttosto che un altro: questa identificazione viene sfruttata dall’industria dei giocattoli per influenzare pesantemente il comportamento di acquisto, prima di tutto degli adulti e poi dei bambini stessi; la differenziazione di interessi che ne deriva, non è spontanea, naturale e nemmeno biologica, ma  influenzata dai colori e dalle immagini presenti sulle confezioni, negli spot televisivi e nei cataloghi.

Uno studio del network europeo Coface del 2016, sui cataloghi di giocattoli, ad esempio, evidenzia come essi si rivolgano ai maschi in modo più esteso, con una più ampia e stimolante gamma di opportunità di identificazioni e di giochi, mentre i prodotti dedicati alle femmine, oltre ad essere di meno, riguardano in maniera massiva la bellezza, la cura della prole o della casa.

Se pensiamo che uno studio della Carnegie Mellon University, pubblicato lo scorso novembre, ha definitivamente sancito, attraverso l’osservazione dell’attività neuronale con la risonanza magnetica funzionale, che non ci sono differenze tra i cervelli di bambini e bambine alle prese con la matematica e che numerosi studi ci dicono, che i giochi non hanno alcuna influenza, sulla futura identità di genere o sull’orientamento sessuale e che, invece, influiscono certamente sul  potenziamento di alcune capacità (alcuni giochi stimolano le competenze comunicative ed introspettive, altri la manualità e il problem solving), appare evidente che dividere i giochi e i giocattoli in base al genere di appartenenza limita la gamma di possibilità e di esperienze dei bambini, privandoli di alternative, con l’unico risultato di rinforzare gli stereotipi di genere, imprigionando i maschi nel loro ruolo di super eroi senza paura e le bimbe in effimere principesse o massaie, annullando, così, la reale parità di possibilità tra maschi e femmine.

Se è pur vero che maschi e femmine sono biologicamente differenti, è un errore focalizzarsi su questo, perché, in realtà, sono più le cose che ci rendono uguali; sapendo, poi, che sono ben più forti l’influenza della cultura di appartenenza, l’educazione e le esperienze fatte, a renderci quello che siamo, anziché cavalcare queste lievi differenze ormonali, si dovrebbero stimolare i maschi ad una maggior tenerezza, riflessività e comunicazione e le femmine ad una maggior forza e caparbietà, esercitando, così, una corretta educazione all’affettività e stimolazione dell’intelligenza emotiva sui nostri figli.

Se lasciamo che un maschietto giochi con pentole, aspirapolveri e bambolotti tutto quello che potrà capitargli da adulto è di diventare una persona autonoma, che non si deve sposare per mangiare e andare in giro pulito ed, eventualmente, sarà anche un buon padre, in grado di affiancare la compagna nell’accudimento dei figli.

Se lasciamo che una femminuccia giochi con le macchinine, le costruzioni e il piccolo chimico diventerà semplicemente una donna che sa parcheggiare l’auto, mettere un tassello nel muro e magari laurearsi in fisica divenendo partner alla pari in quanto a reddito e che si sposerà per avere un compagno di vita e non qualcuno che la mantenga.

Quindi no, caro Morelli, la scienza dice che le differenze biologiche creano trascurabili diversità tra i generi e quello che siamo lo fa la cultura. Forse dovresti abbandonare le tue radici vetero psicoanalitiche e aggiornarti, attingendo alle ricerche di neuroscienze…e noi tutti dovremmo lasciare che i bambini giochino con quello che più gli piace e rendere il mondo un posto migliore, senza donne oggetto e maschi alpha.

 

 

2-8 ottobre 2017

International Babywearing Week 2017 

 

Il BABYWEARING, portare addosso i propri bambini, si inserisce tra le pratiche di accudimento naturali, in grado di apportare molti benefici, primo fra tutti AIUTARE LA MAMMA A NON SCLERARE !!!

 

Portare addosso il proprio bebè,  come mezzo di trasporto, offre numerosi vantaggi pratici.

Spostarsi con un bambino piccolo può diventare un’impresa stressante!

Le città sono piene di barriere architettoniche e i luoghi pubblici non sono progettati per una mamma e il suo bambino: avete mai provato a fare la pipì in un luogo pubblico, da sole, con il vostro neonato al seguito? Non vale rispondere si, se siete all’Ikea.

Avere il proprio bimbo legato addosso vuol dire non doverlo mai lasciare da solo, nemmeno per un secondo, in un luogo non sicuro.

 

Con il proprio bimbo legato addosso si hanno entrambe le mani libere, per tenere un ombrello o la mano di un altro bimbo, o il guinzaglio del cane. Si può andare a fare la spesa o una passeggiata, in qualsiasi tipo di ambiente e con qualsiasi tipo di clima, sapendo che il bimbo sarà termoregolato dal contatto corporeo.

Il babywearing, però, non è solo “tras-portare”, ma una pratica di accudimento propria della nostra specie e comune a tutte le culture.

E’ un aiuto per la mamma a vivere gradatamente il passaggio tra il pancione e la relazione con il nuovo essere vivente “fuori da sé”.

Il contatto continuo, favorisce, infatti, la produzione dell’ossitocina, ormone fondamentale per l’allattamento, regolatore del tono dell’umore e alla base della creazione del legame di attaccamento.

La dipendenza assoluta del neonato, richiede energie continue: è un  lavoro da “contenitore” a tempo infinito.

Attraverso il babywearing questo compito può essere espletato in modo “automatico” e naturale, : il bambino viene contenuto e rassicurato semplicemente stando addosso alla mamma o al papà, attraverso il contatto, l’olfatto, il dondolio verticale e il dialogo tonico che si instaura.

La neomamma può ritrovare spazi per se stessa, senza dover per forza scegliere se rispondere ad un proprio bisogno, o al bisogno che il suo bambino ha di lei: perciò questo modo di accudire, è un’ottima prevenzione del baby blues.

Il portare consente  ai papà di fare un’esperienza intima e profonda con i loro bambini e di instaurare un precoce legame di attaccamento sulla base biologica della produzione di ossitocina. Per tutti gli adulti di riferimento del bambino, che abbiano il desiderio di portare, rappresenta un’esperienza gratificante, di relazione con lui, in cui essere coprotagonisti.

Il babywearing è una naturale incubatrice per l’esogestazione :

il contatto con il corpo dell’adulto, garantisce al neonato termoregolazione, regolazione del ritmo della respirazione, controllo del riflesso di Moro ed un filtro per le stimolazioni esterne.

Anche nel bambino, il contatto continuo, favorisce la produzione dell’ossitocina, l’ormone dell’attaccamento, che, con le sue proprietà psicoattive, è cruciale nello sviluppo cognitivo del comportamento sociale di tutti gli animali.

Il contatto fisico è uno degli elementi del processo di attaccamento, cioè della creazione del legame con i genitori, primo passo per la costituzione della base sicura, il mattone fondante della sicurezza in se stessi.

Stare al mondo è un’esperienza nuova e molto forte: grazie al contatto continuo offerto dal babywearing, il neonato non verrà attivato dagli stimoli ambientali, come variazioni di rumore, luce e temperatura, che lo metterebbero in uno stato di disagio e di ricerca dell’adulto, piangerà meno e sarà meno stressato.

I bambini più grandi, se portati addosso, beneficeranno di una stimolazione continua, non solo di tipo propriocettivo-vestibolare (cosa che avviene già per il neonato: ovvero i movimenti dell’adulto portatore stimolano il sistema muscolo scheletrico, come una ginnastica passiva), ma a livello dei cinque sensi. Il  nostro sistema nervoso si attiva e si sviluppa proprio grazie alle stimolazioni ambientali: per questo i bambini richiedono continuamente di essere stimolati e diventano irrequieti quando non hanno nulla da osservare e sentire! Essere portato da un adulto affaccendato,  appaga questo innato bisogno del bambino, che, soddisfatto, si addormenta, ritrovando così la condizione favorevole per il consolidamento e la rielaborazione delle acquisizione fatte durante la veglia.

Essere portati è anche un’importante “scuola” dei meccanismi socio relazionali, che regolano i nostri rapporti umani, un precoce “ingresso in società”, in cui il bambino non subisce passivo e in posizione di vulnerabilità incursioni di adulti nel proprio spazio vitale, come quando è in carrozzina o in passeggino, ma una vera e propria interazione sociale, viso a viso, a pari altezza, protetto dal contatto con l’adulto di riferimento.

E’ indispensabile, però, trovare il supporto giusto, quello più adatto a noi, rispetto alla praticità d’uso, a dove, quando e quanto lo useremo, in modo da non trasformare questa opportunità in un ennesima prova da superare.

Se hai dubbi e curiosità su questo modo di accudire il tuo bambino, non esitare a contattarmi

Bebè a bordo

 

 

 

L’ipnosi, tecnica vecchia di secoli, è ancora poco conosciuta ai più.

L’ipnosi da spettacolo è la più nota: per questo le persone ritengono, erroneamente, che sia una manipolazione, che può essere messa in atto da una persona ai danni di un’altra.

In campo terapeutico le sue fortune sono, da sempre, alterne, ma non è mai caduta in disuso.

La poca fama e la relativa scarsa pratica di questa tecnica, sono dovute, forse, alla sua poliedricità:  una metodica curativa valida per tutti i mali è in contrasto con la visione scientifica della medicina (Del Castello e Casilli”L’induzione ipnotica” – Franco Angeli 2007)

Eppure l’ipnosi è proprio questo, una panacea.

L’ipnosi è una tecnica, che sfrutta la capacità della nostra mente di creare immagini.
Con la guida dell’ipnotista, si raggiunge lo stato di trance, ovvero un FUNZIONAMENTO MODIFICATO DELLA COSCIENZA,  in grado di portare cambiamenti significativi, anche fisiologici, nelle persone.
La trance, oltre ad essere un piacevolissimo e profondo stato di benessere e rilassamento, consente di agire in modo rapido e diretto su determinati sintomi.
L’IPNOSI E’ UN OTTIMO STRUMENTO DI MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA’ DELLA VITA
Con l’ipnosi possiamo di liberarci dello stress, dell’insonnia, aumentare l’efficacia di una dieta, smettere di fumare, migliorare le capacità di concentrazione e di prestazione.
In alcuni soggetti, l’ipnosi agisce sulla percezione del dolore, riducendo o eliminando del tutto, il ricorso all’anestesia.
L’ipnosi permette di accedere più rapidamente all’inconscio, rendendo la psicoterapia più efficace e breve.

Condivido con voi l’interessante puntata di ieri di Fuori TG dedicata all’IPNOSI dal punto di vista medico e PSICOTERAPICO (durata visione 20′), che ne illustra le diverse aree di utilizzo e cerca, in pochi minuti, di fare chiarezza su questa tecnica del benessere e di cura.

Provare in prima persona  è il modo migliore per capire cos’è l’ipnosi e superare i pregiudizi e le false credenze che la riguardano.

Se sei curioso di scoprire cosa l’ipnosi può fare per te, non esistare a contattarmi.

Si ricorda che l’ipnosi fatta a scopi terapeutici deve essere praticata solo da personale sanitario (psicologi, medici, ostetriche e odontoiatri)