Gioco, corro, salto, penso!

gioco liberoCome nasce la vita psichica del bambino?

Neuroscienze, teorie dello sviluppo e psicoanalisi sono concordi nel ritenere che il bambino sano nasca potenzialmente competente, dotato di tutto ciò che gli serve per crescere fisicamente, intellettualmente e psichicamente.

Il neonato è attivo nel suo sviluppo da subito e pieno di iniziative.
Inizialmente il compito dell’adulto è “solo” quello di catalizzare queste competenze, permettendogli di esperienziare la realtà in modo corretto e sicuro e creando, quindi, le condizioni affinché lo sviluppo prenda avvio.
“Lo sviluppo del bambino e del suo apparato psichico si gioca nell’interfaccia del dentro e del fuori, tra i fattori endogeni del neonato e i fattori esterni, dell’ambiente. Il neonato porta tutto il suo apparato genetico e il suo corpo, ma il suo sviluppo si gioca nell’incontro col suo ambiente e in particolare nell’incontro con lo psichismo dell’altro”[1].

Il neonato incontra l’ambiente attraverso i cinque sensi, primo fra tutti il tatto e “viene toccato dagli oggetti che tocca”[2]; sperimentando e integrando le sensazioni che derivano dal suo corpo, costruisce la propria immagine corporea e il Sé e comincia un “primo lavoro per poter arrivare a pensare il mondo attorno a lui”[3], categorizzando (morbido, duro, ruvido, liscio, freddo, caldo, etc.), classificando (ad esempio cose diverse che fanno la stessa cosa, che si possono sbattere, sfregare, muovere, etc.) e organizzando le sensazioni corporee: il bambino pensa in presenza degli oggetti e delle sensazioni corporee.
“La capacità di riconoscere il mondo ha [però] due radici: una corporea e una relazionale”[4]: poiché, come diceva Winnicott, un bambino tutto solo non esiste, per organizzare pensieri, percezioni e sensazioni ha bisogno anche di un ancoraggio interattivo, di essere in relazione ad un adulto. La relazione attiva il pensiero: il bambino pensa in presenza della madre.

Alle esperienze di sensazione, ad un certo punto, si uniscono quelle motorie: il bambino che ha interiorizzato il senso di sicurezza (modello operativo interno della base sicura[5]) comincia ad esplorare il mondo; il bambino che ha sperimentato contemporaneamente il piacere dell’essere contenuto e dell’aver contenuto qualcosa di buono (il cibo), cercherà di riprodurre quest’esperienza piacevole nell’ambiente, mettendo le cose in bocca: quest’azione lo porterà ad aumentare la propria esperienza incontrando altre cose o persone.

Inizialmente il comportamento di esplorazione è generato dal caso (perde l’oggetto che ha in mano per portarlo alla bocca) e dal ricercare l’oggetto che ha generato piacere; successivamente il bambino ricercherà attivamente l’occasione di esplorare (getta l’oggetto che ha in mano) diventando in grado, così, di trasformare l’ambiente e sperimentando in questo modo il piacere di funzionare: il bambino non cerca più solo l’oggetto che ha generato piacere, ma è l’azione che lo ha portato a trovare l’oggetto a dargli piacere; ciò genera un investimento sempre maggiore nell’esplorazione e nel gioco, più che sugli oggetti. Il pensiero diviene, quindi, azione.

“Il pensiero non e’ altro che azione interiorizzata”[6]; nel bambino pensiero e azione sono assolutamente indissociabili (solo crescendo si potrà pensare senza agire): la motricità ha un legame molto stretto con l’attività di pensiero, ma non è la semplice traduzione in azione del pensiero, bensì è la rappresentazione del pensiero stesso.
Il bambino necessita, pertanto, per consolidare i propri processi evolutivi globali, di una determinata quantità e qualità di movimento fisico.

 

Per capire di che tipo di movimento hanno bisogno gli individui in età evolutiva per sostenere adeguatamente il proprio sviluppo, basta ripensare alla propria infanzia: come ama domandare ogni anno, durante la sua lezione sul movimento nell’arrampicata libera, l’amico Giacomo Ambrosino[7], chi tra noi da bambino non si è mai arrampicato su un albero, su su fino in cima, per mangiare le ciliege?esplorare
E’ un bisogno basilare dei bambini, guidato dalla curiosità, quello di affrontare sempre nuove sfide dall’esito non calcolabile a priori. Mettere alla prova il proprio corpo in contesti limite è un gioco estremamente stimolante. Soprattutto nei primi undici anni di vita, i bambini hanno bisogno di svolgere attività fisiche varie e stimolanti, che implichino qualche rischio e non siano prescrittive, come arrampicare, salire, stare in equilibrio, saltare, oscillare, dondolare ecc.

La tanto ambita “avventura” comincia proprio lì, dove si lascia il conosciuto, il controllato, per impegnarsi e affermarsi in nuove sfide.

Le concezioni psico-pedagogiche moderne vedono nelle situazioni di stimolazione motoria la chiave per acquisire, attraverso il gioco, anche le competenze che sono alla base della fiducia in se stessi.
L’affrontare situazioni di incertezza e di rischio, pensate dall’adulto in modo, per così dire, pedagogicamente responsabile, rappresenta il modo giusto per gestire le ansie e promuovere la responsabilizzazione personale.
Nei bambini, dunque, la sicurezza nei movimenti e le conquiste psico-emozionali ad essa strettamente correlate, quali la fiducia nelle proprie potenzialità, crescono di pari passo con il superamento delle esperienze più stimolanti!
________________________________________

[1] B. Golse “Dal corpo al pensiero: i primi anni di vita del bambino” seminario, Torino 9 maggio 2009
[2] vedi nota 1.
[3] A.M. Bastianini e E. Chicco “Psicologia dello sviluppo” seminario, Torino 5 febbraio 2005
[4] vedi nota 1.
[5] J. Bowlby, 1988.
[6] Piaget 1968 (?)
[7] INAL (istruttore nazionale di arrampicata libera), membro del CAI sezione di Orbassano.

Leave a Reply

Rispondi